ROMA – A due anni dalla morte di Mahsa Jina Mini, la studentessa iraniana di origini curde morta a Teheran il 16 settembre 2022 mentre era in custodia della polizia morale, il movimento Donna vita libertà “è vivo e lotta attraverso tante iniziative di disobbedienza civile. Ma come cambia forma la resistenza, cambia forma anche la repressione”.
Ne parla con l’agenzia Dire Parisa Nazari, attivista del movimento ‘Woman Life Freedom for Peace and Justice’, e residente in Italia. “Non si spara più nelle strade né si osservano scene violente di giovani arrestati e trascinati via durante i cortei, tuttavia la polizia morale ancora esiste e aggredisce le donne mal velate o che non indossano il velo. Che sono migliaia: lo fanno come forma di protesta, pur consapevoli che punizioni, arresti e condanne sono ancor più frequenti e severe”.
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SADAF BARGHANI
Amnesty International, in occasione della giornata, condivide la storia di Sadaf Barghani, 29 anni, oggi rifugiata in Italia. La giovane racconta: “Sono sopravvissuta fortunatamente o meno, a 150 pallini sparati dalle forze di sicurezza durante un corteo, che mi hanno raggiunta al viso, braccia, petto, gambe e altre parti del corpo”.
Nel corso di una conferenza stampa a Roma da Amnesty col sostegno della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), un’altra attivista, Sahdy Alizadeh, denuncia ciò che le donne subiscono se si ribellano: “la confisca dell’automobile o la perdita del lavoro per chi non indossa il velo”, mentre Amnesty denuncia che nel 2023 le condanne a morte sono quasi raddoppiate, passando a 576 a 853. “Voglio ricordarne due- ha aggiunto Alizadeh- quella di Sharifeh Mohammadi, giovane attivista la cui unica colpa è stata quella di aver promosso la creazione di un sindacato unitario in Iran per la tutela dei lavoratori, e quella di Pakhshan Azizi, attivista curdo-iraniana, accusata di aver distribuito volantini in difesa dei diritti delle donne”.
Nazari riprende spiegando che dalle strade, “la lotta per la giustizia e la democrazia sta continuando nelle carceri. Tra le voci più forti spicca quella della difensora per i diritti umani e premio Nobel per la pace 2023 Narges Mohammadi, che ogni giorno cerca di farsi sentire. Anche se non ha diritto a fare telefonate o ricevere visite, tramite la rete delle detenute riesce a far arrivare dei messaggi, come quello di oggi alla comunità internazionale di sostenere la resistenza del popolo iraniano. Da mesi inoltre chiede che l’apartheid di genere che si sta verificando in Paesi come Iran e Afghanistan, sia proclamato crimine contro l’umanità e ciò conduca ad azioni contro i regimi misogini e totalitari che la commettono”.
L’anniversario di oggi coincide anche con le prime sette settimane di governo del presidente Masoud Pezeshkian. Al Jazeera ricorda che in campagna elettorale, Pezeshkian aveva fatto varie promesse, tra cui maggiore libertà di espressione e l’astensione dalla violenza contro le donne che non osservano l’obbligo del velo.
Tuttavia, la nomina ai vertici di governo di figure storiche o vicine alla guida suprema Ali Khamenei ha destato critiche. “Personalmente non ho fiducia in lui- afferma Parisa Nazari- e l’astensione alle elezioni di circa il 60% dimostra che non sono la sola. Ha già dimostrato di non poter mantenere le sue promesse. Tra le sue prime dichiarazioni ha assicurato obbedienza alla Guida Suprema nonostante per mesi le piazze abbiano invocato la fine della dittatura, intendendo l’uscita di scena di Khamenei”.
Nazari continua: “Le donne rappresentano la categoria più colpita dalle leggi discriminatorie del regime, ma non sono le uniche: ci sono minoranze religiose, etniche, ma anche artisti, scienziati, studenti, sindacalisti, giornalisti, esponenti Lgbt: chiunque alzi una voce di dissenso è sempre vittima della repressione”.
Infine, un cenno alla vicenda di Maysoon Majidi e Marjan Jamali, le due richiedenti asilo non ancora trentenni, sotto processo in Italia poiché accusate di traffico di esseri umani. Giunte su un barcone di migranti a fine giugno, Majidi si trova in carcere mentre Jamali, madre di un bimbo piccolo, è detenuta col figlio in una casa famiglia. La vicenda, che secondo i legali sarebbe piena di falle, inesattezze e abusi del diritto alla giusta difesa, chiama in causa le istituzioni italiane, da subito solidali con il movimento Donne vita libertà. Al momento però, nonostante l’attenzione che in Italia la vicenda ha ricevuto, “non si è mosso nulla- riferisce l’attivista- ci sono state delle interrogazioni parlamentari ma dal ministro della Giustizia non ci sono state aperture. Aspettiamo con ansia l’esito del processo. Speriamo che la magistratura possa al più presto emettere una sentenza di scarcerazione, affinché possano tornare in libertà. Sono due donne fuggite dall’Iran che in Italia cercano protezione”.
L’articolo Iran, l’attivista: “La lotta per Masha Amini e le altre non si ferma” proviene da Agenzia Dire.
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