(Adnkronos) – “Se non fermiamo Putin, Putin non si fermerà all’Ucraina. L’Italia e l’Europa devono avere chiaro che un successo di Mosca in questa guerra, comunque lo si voglia definire, avrebbe conseguenze catastrofiche per tutto l’Occidente, anche per i Paesi che oggi si sentono al sicuro. Se Kyiv dovesse soccombere, il Cremlino avrebbe via libera per puntare la Moldavia e la Georgia. La Cina, che copre le spalle a Mosca, avrebbe la conferma che l’Occidente non è in grado di difendere le democrazie. Sono appena stato in Estonia, e lì si stanno preparando a un attacco della Russia. Che sarà probabilmente ibrido, destinato alle infrastrutture critiche o ai sistemi cibernetici, non di invasione, ma sono convinti che arriverà”. Lo ha detto all’Adnkronos Paul McCarthy, direttore per l’Europa dell’International Republican Institute, organizzazione fondata in epoca Reagan vicina all’ala meno isolazionista del partito repubblicano.
McCarthy analizza e visita l’Est Europa da oltre 20 anni. “Ho studiato storia russa e sovietica, e dobbiamo capire che Putin si sente alla guida di un impero, che vuole dominare quello che considera il suo giardino di casa. Se pensiamo alla prosperità a lungo termine dell’Europa, non possiamo lasciare che si realizzi questo piano di ritorno al passato, all’impero di Pietro il Grande (ah, a proposito, in Estonia nessuno lo chiama Pietro il Grande, ma solo Pietro II, per farvi capire come è percepita diversamente quella storia nei paesi baltici). Il ritardo degli aiuti all’Ucraina, sia europei che americani, ha fatto male alla situazione sul fronte. L’obiettivo russo è quello di attaccare il più possibile con tutte le armi possibili da qui alle elezioni americane. Mettere l’Ucraina nella posizione negoziale più svantaggiosa possibile. Invece noi dobbiamo fare esattamente il contrario, portare Putin in un angolo e portarlo al tavolo delle trattative più indebolito che mai”.
A proposito di elezioni americane, cosa farebbe Trump se venisse eletto? Metterebbe in atto la strategia che illustra nelle prime pagine del suo libro “The art of the deal”, ovvero spiazzare subito l’interlocutore con una mossa imprevedibile e scioccante, per poi farlo trattare da una posizione di instabilità? “E’ possibile, lo ha fatto durante la prima presidenza ed è un po’ un suo marchio di fabbrica. La sua dichiarazione sulla Nato (che non avrebbe protetto i Paesi che non fanno la loro parte in termini di spesa militare) aveva lo scopo di dare una scossa agli alleati. E mi pare ci sia riuscito, nonostante sia solo un candidato. Se verrà rieletto, si aspetterà che dal giorno uno gli altri membri dell’Alleanza atlantica investano almeno il 2% del Pil in difesa, ma questo sarà considerato il minimo, perché si parla di arrivare anche al 3%. L’elettore medio americano non sarà più disposto a coprire il 75% delle spese dell’ombrello di sicurezza europeo se non vedrà che anche voi farete la vostra parte”.
L’Italia è messa male visto che a malapena arriva all’1,5%, ma secondo McCarthy può essere “salvata” dalla figura di Giorgia Meloni “che ha da subito ribadito il legame transatlantico, dimostrato di essere una garanzia di sostegno all’Ucraina e ha conquistato ottime credenziali a Washington, che resteranno tali indipendentemente da chi occuperà la Casa Bianca nel gennaio 2025. La questione riguarda l’Unione in senso ampio: Trump ma anche Biden non sono fan di un profilo di sicurezza europeo sganciato dalla Nato. Il rafforzamento dovrebbe riguardare l’Alleanza, che diversamente dalla difesa comune europea è già qui e ha già ampi margini di coordinamento”. (di Giorgio Rutelli)