L’assassinio di Shenzhen e i sentimenti antigiapponesi in Cina
Roma, 19 set. (askanews) – Il brutale assassinio di un bambino giapponese di 10 anni a Shenzhen rischia di pesare come un macigno sui già deteriorati rapporti tra Tokyo e Pechino, anche perché da tempo il sentimento anti-nipponico in Cina è in aumento e le contese internazionali mettono in rotta di collisione i due più importanti paesi dell’Asia orientale.
“Il peggio è accaduto: un bambino che frequentava la scuola giapponese a Shenzhen è stato accoltellato a morte. Questo è il risultato di un’educazione scolastica anti-giapponese che prosegue da lunghi anni e delle dichiarazioni belligeranti della ‘diplomazia wolf warrior’ dei recenti anni”, ha sintetizzato con un post su X Shingo Yamagami, un ex ambasciatore nippnico di lungo corso, che ha rappresentato il Giappone anche negli Stati uniti. E non c’è dubbio che questo sentimento sia anche quello che traspare dalle dichiarazioni, più ovattate, dei membri della politica giapponese.
L’episodio è atroce. Il bambino, il cui nome non è stato reso noto, è stato aggredito da un uomo mentre stava andando alla scuola giapponese del capoluogo della provincia di Guangzhou accompagnato dalla madre. Un uomo di 44 anni – di nome Zhong – è stato immediatamente arrestato. Non è chiaro ancora quale sia il motivo del suo attacco. Oggi, poi, la notizia confermata dalla ministra degli Esteri Yoko Kamikawa che il bambino è deceduto. Il coltello gli aveva squarciato l’addome e i testimoni avevano raccontato che aveva perso molto sangue.
Nonostante la televisione pubblica giapponesse NHK abbia mostrato diversi cittadini cinesi commossi che portavano fiori nel luogo dell’aggressione, la sensazione della comunità nipponica in Cina e del governo di Tokyo è che ci sia una crescente ostilità nei confronti dei giapponesi. Oggi la bandiera del Sol levante all’Ambasciata giapponese di Pechino è stata posta a mezz’asta.
Già ieri il viceministro degli Esteri giapponese Masataka Okano ha inviato una formale comunicazione all’ambasciatore cinese a Tokyo Wu Hailong. La ministra Kamikawa, dal canto suo, ha segnalato che ieri era l’anniversario dell’incidente di Mukden del 1931, che diede di fatto inizio all’occupazione giapponese del nord della Cina fino alla conclusione della Seconda guerra mondiale, e in previsione di quest’anniversario molto sentito in Cina aveva chiesto alle autorità di Pechino di rafforzare il controllo delle scuole giapponesi rispetto al rischio di incidenti. “E’ davvero deplorevole che questo tragico incidente sia avvenuto nonostante tali precauzioni”, ha detto la ministra.
L’allarme era però già alto. A giugno a Suzhou un altro aggressore armato di coltello aveva attaccato una madre giapponese con il figlio, entrambi rimasti feriti, mentre una donna cinese che cercava di fermare l’assassino era rimasta uccisa.
Il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha evitato di inasprire i toni e ha dichiarato di voler attendere più dettagli per dare una valutazione, ma ha chiesto al governo cinese una spiegazione urgente del “crimine spregevole” avvenuto a Shenzhen.
Il potere cinese ha spesso posto l’accento sulla brutalità del Giappone durante la Seconda guerra mondiale come elemento di identità e patriottismo. In particolare, dopo ogni visita di dirigenti giapponesi al controverso santuario nazionalista Yasukuni, il luogo di culto shinto in cui sono ospitati gli spiriti dei soldati morti in guerra per l’Impero giapponese, compresi 14 criminali di guerra di classe A condannati dal Tribunale per i crimini di guerra in Estremo oriente. Ma anche in una fase, come questa, in cui gli scenari geopolitici stanno portando a una nuova polarizzazione in Asia orientale, con il Giappone allineato agli Stati uniti.
Eppure Cina e Giappone continuano a essere anche importanti partner commerciali: sono in fondo la seconda e la quarta economia mondiale. Sono tante le aziende giapponesi che hanno interessi e produzione in Cina, tra cui Toyota e Honda. Masanori Katayama, presidente dell’Associazione dei produttori di automobili giapponesi e CEO di Isuzu, ha dichiarato oggi – secondo il Nikkei – che spera che il governo giapponese faccia “più che mai” per rafforzare la sicurezza dei residenti giapponesi all’estero: “La sicurezza degli espatriati e delle loro famiglie è la questione più importante”.
Ufficialmente, Pechino ha espresso rammarico, ma ha escluso per quanto se ne sappia che l’uccisione del bambino sia nulla di più di un caso di individuale follia. “Esprimo il mio rammarico e la mia profonda tristezza per lo sfortunato incidente. Vorrei esprimere le mie condoglianze per il ragazzo deceduto alla famiglia in lutto”, ha affermato oggi il portavoce del ministero degli Esteri Li Jian. “A quanto sappiamo finora – ha continuato – questo incidente è individuale e incidenti simili possono verificarsi in qualsiasi paese”.
Non la pensa, invece, invece così Tomoko Ako, docente specializzata in Cina contemporanea all’Università di Tokyo. “Prima o poi doveva accadere” ha dichiarato al Nikkei Asia. “È significativo che le autorità cinesi abbiano continuato a instillare l’odio verso il Giappone e il popolo giapponese tra la loro popolazione”.
Ako ha detto che è cruciale affrontare la storia, ma ha avvertito che c’è un rischio di incitamento all’odio. “Un buon numero di persone – ha detto ancora – nutre sentimenti ostili verso i giapponesi, e anche coloro che non la pensano così sanno che possono attirare attenzione prendendo di mira i giapponesi”.